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Abholzung für Palmöl-Plantage in Borneo, Malaisia.
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13 luglio 2021

Deforestazione importata: stiamo mangiando la foresta pluviale!

Cioccolato, caffè, soia: il nostro studio «Deforestazione importata» mostra come le materie prime importate in Svizzera accelerino la deforestazione all'estero. Sette fatti inquietanti tratti dal rapporto e la risposta del WWF al riguardo.

1. Cioccolato anziché foresta pluviale

Oltre la metà delle importazioni svizzere di cacao, il 54 per cento, proviene da Paesi ad alto o altissimo rischio di deforestazione: Costa d'Avorio, Ecuador, Nigeria, Perù, Indonesia e Madagascar. Particolarmente preoccupante: l'impronta ecologica dell’importazione di cacao in Svizzera rappresenta il 3 per cento dell'impronta globale per questo prodotto. Un dato decisamente elevato se si considera la percentuale della popolazione Svizzera rispetto a quella mondiale (0,1 per cento).

La coltivazione del cacao costituisce la fonte di sostentamento di milioni di piccoli agricoltori. Il WWF si impegna a migliorarne le condizioni di vita, a favorire l'accesso ai mercarti e li supporta nell'attuazione di metodi di coltivazione sostenibili.

2. Il doppio della superficie boschiva della Svizzera, ogni anno

Tra il 2015 e il 2019 sono stati necessari 11,2 milioni di ettari (una superficie pari a quasi il triplo della Svizzera) per soddisfare la domanda elvetica delle otto materie prime agricole e forestali seguenti: cacao, cocco, caffè, olio di palma, pasta di cellulosa e carta, soia, canna da zucchero e legno. Ogni anno, ciò corrisponde a quasi il doppio della superficie boschiva della Svizzera, ovvero alla metà della sua superficie totale. Sebbene tale impronta ecologica a carico del territorio non sia aumentata durante il periodo in analisi, essa non è nemmeno diminuita, nonostante gli sforzi del governo, dell'industria e delle ONG.

Il WWF si impegna a livello globale per fermare la deforestazione e collabora con i partner del settore industriale alla ricerca di soluzioni per lo sfruttamento sostenibile delle nostre foreste.

3. Il caffè proviene soprattutto da Paesi a rischio

La quota della Svizzera nella produzione globale di caffè è notevolmente elevata (2 per cento), considerando che il nostro Paese rappresenta solo lo 0,1 per cento della popolazione mondiale. Quasi tre quarti delle importazioni svizzere di caffè (72 per cento) provengono da Paesi con un rischio elevato o molto elevato in termini di deforestazione, tra cui Brasile, Colombia, Etiopia, Guatemala, Indonesia, Honduras, Messico e Perù. La Svizzera non importa caffè da Paesi a basso rischio.

Insieme a numerosi gruppi di interesse economici, ecologici e sociali, il WWF si impegna nella ricerca di soluzioni globali che vadano oltre alle certificazioni, per consentire ai piccoli agricoltori di accedere al mercato e di disporre di metodi agricoli sostenibili.

4. Disboscamento: il 7 per cento delle nostre emissioni

Secondo le stime, tra il 2015 e il 2019 le emissioni di gas serra legate alla conversione dei terreni per le importazioni svizzere di prodotti agricoli ammontavano a circa 2,3 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l'anno: ciò corrisponde a circa il 7 per cento delle emissioni nazionali annue della Svizzera. Con una media del 47 per cento circa, sono le importazioni di soia a rappresentare la principale quota delle emissioni annue, seguite dal cacao, responsabile di quasi un terzo delle emissioni medie annue. Queste cifre non includono le emissioni associate ai prodotti forestali, quali legno, pasta di cellulosa e carta.

Il WWF si impegna nella lotta al cambiamento climatico a livello nazionale ed internazionale, anche grazie all’elaborazione di soluzioni per rendere il nostro sistema alimentare più rispettoso del clima.

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Unkontrollierter Waldbrand in Brasilien
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La soia fattoria in Brasile

L'espansione della produzione di soia in America Latina è fortemente legata al disboscamento e ad altre forme di distruzione degli habitat naturali.

5. L'81 per cento della soia importata è mangime per i nostri bovini, suini e pollame

Dagli anni '60 la produzione di soia è ottuplicata; tra il 2000 e il 2018, la produzione è raddoppiata. Si tratta di un aumento determinato principalmente da tre Paesi: Argentina, Brasile e Stati Uniti. L'espansione della produzione di soia in America Latina è fortemente legata al disboscamento e ad altre forme di distruzione degli habitat naturali. La produzione di soia è direttamente correlata al nostro consumo di carne: circa il 70 per cento della produzione mondiale di soia viene utilizzato come mangime per animali, mentre solo il 6 per cento circa è destinato al consumo umano diretto. Anche in Svizzera l'81 per cento delle importazioni è impiegato per i mangimi.

Nel 2011 la Svizzera ha fondato la Rete svizzera per la soia, di cui è membro anche WWF Svizzera. L'obiettivo è garantire che l’intera produzione di soia per il mercato elvetico avvenga in modo responsabile e nel rispetto degli standard e delle certificazioni. Nel 2017 i membri della Rete svizzera per la soia hanno importato soia in conformità a uno o più di questi standard nel 96 per cento dei casi.

6. Più legno e carta di quanto tutte le foreste svizzere potrebbero produrre

Tra le materie prime esaminate nel nostro studio, in Svizzera è l'importazione di prodotti forestali quali legno, pasta di cellulosa e carta a costituire la maggiore impronta ecologica a carico dei territori. La superficie necessaria all'estero per generare questi prodotti ammonta a 1,5 milioni di ettari l'anno: più dell’insieme delle regioni boschive della Svizzera! Sebbene la maggior parte di tali prodotti provenga da Paesi a medio o basso rischio come Svezia e Germania, il legname è talvolta importato dalla Cina, mentre la pasta di cellulosa e la carta dal Brasile, entrambe nazioni ad alto rischio di deforestazione e violazioni dei diritti umani.

Il WWF si impegna a livello politico per garantire che l'origine e la specie relative ai prodotti del legname e della carta importati vengano dichiarate e che il legno acquistato sia stato prodotto in modo legale, impegnandosi inoltre affinché le aziende impieghino prodotti del legno e della carta di produzione certificata.

7. Il 45 per cento delle piantagioni di olio di palma si trova in aree forestali disboscate

L'olio di palma è prodotto principalmente in Indonesia (46 per cento della produzione mondiale) e in Malesia (34 per cento). L'espansione delle colture della palma da olio è da tempo associata alla deforestazione. Uno studio recente conclude che il 45 per cento delle piantagioni di palma da olio analizzate nel sud-est asiatico si trova in regioni che nel 1989 erano ancora foreste. Una parte significativa di quest’opera di deforestazione è stata generata dal commercio globale. Ogni anno anche la Svizzera importa 63 000 tonnellate di olio di palma. Tra il 2015 e il 2019, la superficie necessaria all'estero per soddisfare la domanda elvetica di questo prodotto ammontava in media a quasi 25 000 ettari l'anno.

Il WWF si impegna a favore di standard vincolanti nella produzione di olio di palma e, ad esempio, ha contribuito a dare vita alla tavola rotonda sull'olio di palma sostenibile (RSPO). L'olio di palma certificato RSPO rappresenta ad oggi il 21 per cento della produzione globale.

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Frauen-Cooperative bei der Mate-Ernte in Paraguay

Il WWF si impegna a migliorare le condizioni di vita e l'accesso al mercato dei piccoli agricoltori e li supporta nell'attuazione di metodi di coltivazione sostenibili.

Vuoi saperne di più?

Leggi il rapporto completo e scopri di più sulle singole materie prime e su ciò che il WWF raccomanda alle imprese, agli investitori, ai governi e ai consumatori.

In poco più di un decennio, un'area di 43 milioni di ettari di foresta è stata distrutta in 24 zone dei tropici e delle subtropiche particolarmente colpite dalla sola deforestazione. È circa dieci volte più grande della Svizzera. Leggi ancora di più sulla deforestazione globale nel nostro studio «Fronti della deforestazione - cause e contromisure in un mondo che cambia».

Secondo il rapporto del WWF «Deforestation and conversion-free supply chains: A guide for action», le attuali misure introdotte dalle aziende non sono sufficienti a fermare la distruzione degli ecosistemi più preziosi del mondo. Sebbene la crescente sensibilizzazione dell'opinione pubblica abbia spinto le imprese ad agire, portandole così a assumersi numerosi impegni volontari, il rapporto indica che questi progressi non stanno sortendo l'effetto desiderato: solo il 41-46% delle imprese segnala progressi relativamente al rispetto degli impegni presi e gli obiettivi sono stati raggiunti da un mero 55%, il che esemplifica le lacune attuative.

Cos'altro puoi fare tu

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Panda appollaiato sull'albero

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